Sono due giorni che in Albania non ci si può più muovere. Dal nord al sud, escluse le autoambulanze, il trasporto merci e i mezzi autorizzati che sono per lo più quelli statali, tutto è fermo. Le misure contro la diffusione del coronavirus si intensificano nel Paese. Da giovedì sono chiuse tutte le scuole e i servizi non essenziali. Queste misure, prese dapprima per il weekend, si va dicendo che saranno prolungate nel tempo. Sono stati chiusi i collegamenti aerei e marittimi con alcuni paesi europei tra cui l’Italia.
“Le misure estreme che limitano la libertà di movimento sono una necessità per proteggere ogni cittadino, ogni famiglia e l’Albania stessa dall’escalation aggressiva dell’attacco di coronavirus a noi e ai nostri cari” ha precisato il Governo.
Nonostante alla frontiera non venga chiesto un recapito telefonico, in questi giorni le persone, come noi, che hanno viaggiato nelle aree già colpite da coronavirus (l’Italia) ricevono questo messaggio inviato dalla Polizia di Stato:
“Negli ultimi giorni avete viaggiato nelle aree colpite da COVID-19. Vi ricordiamo l’obbligo di rispettare tutte le misure previste dal Governo Albanese come l’auto-quarantena di 14 giorni dal momento del rientro nel paese. La mancata osservanza di questo obbligo costituisce responsabilità legale. La polizia di stato sta monitorando l’attuazione di tutte le misure da parte di tutti i cittadini che viaggiano nelle aree colpite. Proteggete voi stessi e gli altri, grazie per la vostra comprensione”. Per coloro che trasgrediscono è prevista una multa di 5000 euro.
Nei momenti di normalità tutto ciò risulterebbe strano ma non siamo in tempi normali. Abbiamo a che fare – precisano le Autorità – con un nemico che non si vede ma è intorno a noi.
Il contagio si è manifestato in Albania a macchia di leopardo: ad oggi, 14 marzo, sono stati testati 505 casi sospetti e si lamentano, secondo il direttore dell’Istituto di sanità pubblica, 38 casi effettivi debitamente monitorati e seguiti dalle autorità sanitarie.
In questo clima di quasi coprifuoco e di timore vive anche la missione di Shënkoll. Da giovedì siamo costretti in casa. Sono interrotti, per disposizione della Conferenza Episcopale, tutti i servizi liturgici: S. Messe, Catechesi, Amministrazione di Sacramenti e funerali con assembramenti di persone, visite alle famiglie, benedizione delle case, pii esercizi come la Via Crucis, attività di oratorio, attività Caritas, ecc. Continuiamo però il ministero delle confessioni, a recarci – con le dovute precauzioni – al capezzale degli ammalati, ad amministrare l’unzione degli infermi, a benedire in famiglia i defunti. E non sappiamo fino a quando.
Indaffarati prima in mille attività pastorali che si andavano intensificando nella preparazione della Pasqua ormai prossima, tutto si è fermato. Siamo effettivamente rimasti spiazzati.
Mentre preghiamo e diffondiamo con i social l’esortazione alla preghiera per scongiurare l’epidemia, ci è imposto dagli eventi un tempo di sosta forzata.
Guardando con ottimismo la realtà, pur drammatica, questi giorni di inattività e di permanenza in casa diventano occasione per riscoprire lo stare insieme tra noi, riprendere abitudini comunitarie facilmente trascurate nell’iperattivismo, programmare, leggere, studiare, e, soprattutto, pregare e meditare di più. E attendere.
Imploriamo il Signore e la Vergine Maria, che sono intervenuti più volte prodigiosamente nella storia per scongiurare epidemie e pestilenze, segni ne sono diversi santuari costruiti per voto, perché facciano sentire anche ora la loro salutare presenza. (GN)